Quando una specie evolve la sua rete di comunicazione, l’intelligenza delle macchine comincia a eclissare l’intelligenza della specie. Si costruiscono macchine super- intelligenti che – se non appropriatamente gestite dalla specie – possono auto-evolversi con una velocità maggiore di quella dell’evoluzione biologica, superando i protocolli gestionali inseriti e permettendo alle macchine di dominare le frontiere della scienza e della tecnologia.
[…] Quando il Gran Portale è rivelato unicamente dall’intelligenza delle macchine, la scoperta è affossata e la sua diffusione viene solitamente riservata in modo intellettuale all’élite della specie.1
Leggere queste note, una decina di anni fa, ci dava la sensazione di leggere un romanzo di fantascienza. Al di là del Gran Portale, l’oggetto effettivo della Cosmogonia Liminale del Lyricus Teaching Order da cui l’estratto, ciò che ci preme qui sottolineare è il riferimento all’intelligenza delle macchine – il grassetto nella citazione è infatti nostro – ovvero il riferimento all’Intelligenza Artificiale (IA) o, meglio ancora, all’Artificial General Intelligence.
Lasciamo volutamente la versione anglosassone, perché dice molto di più di quanto una traduzione italiana possa intendere: un’intelligenza versatile, applicabile davvero ai più disparati campi dello scibile umano.
Possibile che un’intelligenza meccanica possa superare quella umana? Una cosa talmente futuribile, anche se solo presupposta, da ritenerne del tutto improbabile una nostra testimonianza diretta, almeno in questa vita. Chissà. I posteri potranno avere a che fare con simili temi. Forse. Con qualche sottile rammarico per non poter partecipare a fatti così affascinanti e densi di ricadute nella vita quotidiana. Questi erano i nostri pensieri e sentimenti dominanti nel leggere, allora, queste fonti.
Ma è proprio così? O non siamo già spettatori dei primi vagiti di questa realtà fantascientifica? Come già accennato in un altro post, pensiamo che i conseguimenti raggiunti dalla società Deep Mind, di Google, siano eclatanti. E non si tratta della solita montatura giornalistica. Come è ben documentato in questo video (14′) a proposito di AlphaGo, l’algoritmo che ha sconfitto il campione umano di questo antichissimo gioco.
A tutta prima, visto che pur sempre di una scacchiera si tratta, non si riesce a comprendere, nella sua essenza, in che cosa questo programma possa poi esser così diverso da quello realizzato nel discusso duello Kasparov-Deep Blue o da Watson, sempre di IBM, che seppure in modo discutibile ha sbaragliato i contendenti umani nel gioco a quiz televisivo statunitense Jeopardy!.
Il punto qui è che AlphaGo, nelle sue diverse e successive versioni, non è stato programmato per giocare a Go, ma è stato programmato per apprendere, da solo, in modo autonomo, cosa e come giocare. Non vogliamo arrivare – come si afferma nel video – a dire che il sistema meccanico ragiona in modo simile a quanto facciamo noi umani, il che implicherebbe una sorta di attribuzione di nostre caratteristiche – ammesso di conoscerle, poi – al sistema osservato, quanto piuttosto riconoscere che il sistema, in modo autonomo, estrae e produce il suo proprio senso di ciò che osserva (ci si perdoni l’antropomorfismo). Più in dettaglio AlphaGo viene esposto all’esame del video, che rappresenta la partita, in termini di pixel, e di qui esso riesce a:
- estrarre un senso da tutto ciò,
- determinare le regole del gioco e
- reagire in modo che sembra finalizzato a definire una strategia per vincere la partita,
- ma, soprattutto, poter estendere quanto appreso da un dominio ad un altro, un apprendere effettivo dalle esperienze precedenti.2
Come? Attraverso una tecnica molto semplice, quella di giocare innumerevoli partite contro sé stesso, fino a sviluppare, appunto, la giusta strategia di comportamento. Quella che serve per vincere. Il punto importante qui, rispetto ai casi precedenti, è che siamo al cospetto di una sorta di auto-programmazione intelligente. Stiamo trattando, infatti, di Deep Reinforcement Learning. Un neologismo sintetizzato dallo stesso creatore del sistema, che rappresenta lo sviluppo, intelligente naturalmente, di due branche dell’IA. Non c’è un risultato a cui tendere. Il risultato, se così si può dire, viene definito dallo stesso algoritmo nel procedere nell’esecuzione delle attività. Giocare, come dicevamo, innumerevoli partite contro sé stesso. La sua intelligenza si rivela nel saper identificare cosa fare e come farlo, appunto. Nel modo migliore possibile. Tanto da diventare un campione.
Al sistema, che sa dominare una sessantina di computer games – desideriamo sottolinearlo ancora una volta – viene proposto lo schermo del gioco, ad esempio di Space Invaders, di cui l’algoritmo “legge” i pixel presenti dinamicamente sul video, il punteggio conseguito nelle partite, che il sistema gioca con se stesso, e il compito generico di migliorare questo punteggio. Tutto qui. Niente regole. Nessun apprendimento esterno2.
C’è solo una sorta di processo ricorsivo3 all’opera. In quanto l’output al tempo t diviene in qualche modo l’input al tempo t+1, l’istante successivo. Il sistema valuta la partita appena conclusa il cui risultato è, in qualche modo, re-immesso nel sistema, “ricordato”, potremmo antropomorficamente dire.
È chiaro che AlphaGo è frutto dell’intelligenza umana. Del suo principale ideatore e costruttore, Demis Hassabis, un genio, progettista di videogiochi, programmatore di IA e imprenditore, ma dobbiamo comunque considerare che l’effettivo comportamento del sistema non è predicibile, di fatto, neanche da lui. Il suo stesso inventore.
Vogliamo, infine, leggere tra le righe del Lyricus del passo citato, un’ulteriore intuizione. Lo sviluppo di Internet come elemento cardine per un’auto-evoluzione dell’Intelligenza Artificiale. Ci riferiamo in particolare alla nostra beniamina, la blockchain. Siamo sempre più convinti che uno sviluppo autonomo dell’IA passerà sempre più attraverso questa tecnologia complementare, che costituisce un elemento fondamentale dell’ecosistema che si verrà a creare. I programmi intelligenti, sempre più autonomi nei loro comportamenti, potranno interagire utilmente tra di loro, proprio attraverso Internet, utilizzando i dati e le informazioni condivise nella blockchain stessa. Una sorta di data base distribuito ad uso e consumo dell’intelligenza delle macchine, che probabilmente ne saprà usufruire in termini e in modi che lasceranno stupiti gli stessi ideatori umani. Una sorta di creatività intelligente specifica per le macchine, di cui l’ Internet of Things rappresenterà il punto di contatto, la porta, l’interfaccia4 col nostro mondo 3D…
Le affermazioni più fantascientifiche stanno diventando una realtà. Con una rapidità impressionante.
Siamo sul punto di sviluppi molto interessanti. È bene, perciò, tenerci aggiornati6.
Anche per questo, ci sentiamo sempre più corroborati nel domandarci, ormai un vero e proprio mantra, che facciamo nostro: «viviamo in un’epoca di cambiamento o in un cambiamento d’epoca?»5
Nella piena acquisizione di responsabilità, che una tale consapevolezza comporta.
1 Lyricus, Estratti dalla Cosmogonia Liminale, www.lyricus.org, 2004-2016 Lyricus, tutti i diritti riservati
2 Demis Hassabis, Artificial Intelligence and the Future, The RSA, 29 settembre 2016 (47′)
In realtà per il primo rilascio di AlphaGo sono state costruire due reti neurali distinte (convolutional neural network), che potessero la prima (Policy network) fornire le raccomandazioni di gioco e la seconda (Value network) valutare i risultati conseguiti. Anche se per il GO è matematicamente impossibile definire una funzione obiettivo che possa essere ottimizzata, come avviene invece per il gioco gli scacchi. Queste due reti sono state inizialmente addestrate fornendo in input le mosse di campioni umani. Ma nella versione successiva, AlphaGo Zero, ogni addestramento esterno (supervised learning) è stato abbandonato del tutto.
3 H.Maturana e F.Varela, L’albero della conoscenza, Garzanti Editori, 1987, p.62
4 Un esempio di interfaccia tra il nostro mondo fisico e quello digitale è offerto dall’impiego del ben noto QR Code, il quale ci permette di interagire direttamente col mondo virtuale attraverso il nostro cellulare, come nel seguente esempio:
5 Oscar di Montigny
6 13 agosto 2018, Google DeepMind’s AI can detect over 50 sight-threatening eye conditions, CNET