Il senso di fastidio, che m’era apparso sin dalle prima battute dell’intervento del conferenziere, si stava tramutando sempre più sensibilmente in una pesantezza, nei pressi del plesso solare, che mi stava informando che l’attivista-Davide, questa volta, proprio non riusciva neanche ad essere non dico visto, ma neanche avvertito dall’insensibile e potente sistema-Golia. Il quale non solo procedeva imperterrito per la sua strada e con tutta la sua gigantesca forza, ma addirittura sembrava – quasi novello Mida – ritorcere tutte le buone azioni in continui quanto assurdi vantaggi per sé stesso.
Stavo giusto facendo i conti – senza accorgermene – con questa mia guerra interna. La lotta impari che mi stava provocando quel disagio, e quel senso di impotenza, di inanità, tramutata in pesantezza, che avvertivo alla bocca dello stomaco. Fastidio dovuto al contrasto che c’era in me tra il mio senso etico e la situazione oggettiva, là fuori, mentre sullo sfondo della mia mente una domanda restava costante, come un’insegna luminosa che intermittente lampeggiava: «Come se ne esce? Come se ne esce?»
Terminato il primo intervento, prendeva la parola il secondo relatore. Pacato. Quasi sereno o almeno nel quale intuisci una buona dose di armonia, di inclusione, come poi ho avuto modo di scoprire. E con questo suo atteggiamento, con questo approccio pacato nell’incedere, seppure chiaro, forte e duro nell’applicare la logica delle proprie conclusioni, scompaginava del tutto la mia lotta interna.
È grazie a questo cambio di registro, che il mio stato di forte disagio fisico all’improvviso si acquietava, pur rimanendo sempre sullo sfondo la domanda del «come se ne esce?».
Ed ecco la visione. La risposta alla mia domanda. La soluzione. Come un sogno ad occhi aperti.
Una massa di individui che procede, lenta e inesorabile, verso un’unica direzione. Un flusso enorme di persone, semi addormentate. Come ipnotizzate. In questo oceano di individui in cammino unidirezionale, ogni tanto qualcuno, più o meno vivacemente, si sveglia dal proprio torpore e si chiede: “Cosa sto facendo? Dove sto andando?” E soprattutto: “Perché?”
E allora questo qualcuno si ferma, o almeno ci prova. Cerca di interagire con le persone mezzo addormentate, quelle più vicine. Tenta di svegliarle, scuotendole, ma invano. Viene presto inghiottito e riassorbito dal lento e inesorabile procedere della massa.
Qualcun altro prova allora a lottare, cercando di prendere una direzione almeno diversa, se non addirittura contraria… con difficoltà proporzionale all’angolo di deviazione che vorrebbe apportare al proprio cammino. Per quanti sforzi faccia però, all’interno della massa informe, dopo un po’ di tempo, stanco degli inutili sforzi, non ha altra possibilità che quella di conformarsi. Riprendere, volente o nolente, il cammino dei più.
Ma ecco che qualcun altro, che forse si trova, per sua fortuna, nei pressi dei bordi del flusso informe, dove c’è una soluzione di continuità, decide di fare una cosa del tutto inaspettata.
Senza lottare, senza sforzo alcuno, fa un passo laterale e si tira fuori dal flusso dei corpi.
È uscito dalla massa. E ha l’opportunità di fermarsi a riflettere. A meditare in relativa tranquillità su quanto sta accadendo davanti ai suoi occhi. Si è riconosciuto in potere di chiamarsi fuori. Di guardarsi attorno. Di farsi domande e darsi risposte. Da sé. Scoprendo che anche altri, come lui, qua e là, sono fuori dal flusso. La persona che risvegliandosi ha avuto il coraggio e l’opportunità di uscire, sa ora di di non essere più sola.
Per vincere la guerra, occorre non combattere, ma svegliarsi, includendo il nemico che è dentro di noi.
Nota. Ottobre 2017. Rileggendo l’ebook Il segreto della vita nel cielo. Vol I, di Fabio Ghioni, alla posizione 53%, ritroviamo una metafora per certi versi simile a quella qui descritta. Una probabile nostra inconsapevole fonte di ispirazione, della quale desideriamo rendere conto.