Per prima cosa, naturalmente, proviamo a delimitare il campo, ricorrendo, come al solito, al nostro Treccani Online, estraendone le accezioni che intendiamo discutere qui, in modo da definire e precisare un po’ meglio il nostro campo da gioco.
Setta. Gruppo ristretto di persone che si attribuisce speciali diritti e privilegi dai quali è rigidamente escluso chi non ne faccia parte, è la definizione che esaminiamo per prima. L’idea chiave, a nostro parere, è il concetto di esclusione, che rimanda immediatamente a quello di segreto. Che richiama certamente una procedura di accettazione ben definita, e che suggerisce anche una specifica e probabile ritualità connessa a questa operazione. Critica per l’individuo che ne entra a far parte, e, nel contempo, delicata anche per il gruppo stesso che si arroga i propri privilegi e che intende accordarli ad un esterno. Fatto questo che comporta, simmetricamente, un’altra azione, molto critica anch’essa: la procedura di terminazione, ammesso che questa possibilità sia poi concessa a chi ha osato entrare nella setta stessa… Uscire dal gruppo, vuol dire infatti, diventarne potenziali eretici, e come tale non può essere mai una cosa indolore. Né per chi intende andarsene, né per la sicurezza e le segrete cose proprie della setta stessa. Di questo ne abbiamo una qualche evidenza nei fatti di cronaca nera, quando il sostantivo setta viene spesso accompagnato da aggettivi tanto sulfurei quanto oscuri e sinistri.
Passando alla ben più tranquilla corporazione, leggiamo che si tratta, pur sempre, di un’unione di persone, ma questa volta con un vincolo volontario, che le accomuna e che è decisamente pubblico. Sono infatti sacerdoti, funzionari o artigiani, che, proprio in virtù di questa loro funzione o professione comune, si raggruppano per tutelare i propri interessi di categoria e per conseguire i propri fini. In modo aperto e pubblico, appunto. Socialmente rilevante: basti pensare all’onta subita nel venir radiati dall’Albo! L’idea chiave qui ci sembra sia la finalità, ovvero la tutela dei propri interessi di categoria.
Ma un’istituzione, invece, che tipo di oggetto è? E, soprattutto, come poterlo relazionare con questi primi due, che sembrano così distanti da questa?
Diciamo subito che l’istituzione è un organo o un ente istituito, appunto, per un determinato fine. Una definizione molto generica e onnicomprensiva, indubbiamente.
Le parole importanti, qui, sono il fatto che c’è qualcosa di strutturato che esiste per uno scopo ben preciso, proprio come nei casi precedenti. Anche se ora percepiamo un salto logico. Siamo passati da gruppi di persone, più o meno dichiaratamente organizzate, a qualcosa… di etereo, che sembra non riguardare nemmeno più delle persone fisiche. In questo caso, un ente o un’organizzazione sembra, in qualche modo, che possa auto-definirsi… quasi indipendentemente dalle persone che la realizzano davvero. Del tutto pretestuoso, allora, potrebbe apparire questo confronto che stiamo tentando di fare, essendo l’istituzione qualcosa di profondamente diverso dai due casi precedenti.
Ma è proprio così? Siamo certi di non trovare una qualche struttura, o almeno qualche elemento, che ci permetta di operare questo confronto, in modo corretto? Cioè di correlarle?
Proviamo ad approfondire, domandiamoci in che cosa consista la forma di un’istituzione. E poi quale rapporto strutturale si possa determinare nel confronto con una setta o con una corporazione.
Quando pensiamo a un’istituzione, governativa, militare, aziendale, e così via, a noi vengono in mente, d’acchito, i seguenti elementi costitutivi:
- la struttura, o organizzazione, definita attraverso la propria gerarchia,
- i ruoli che la compongono, ovvero i compiti che vengono svolti
- dalle persone, che rivestono tali ruoli, attenendosi a delle procedure o consuetudini e, naturalmente,
- le finalità che persegue l’organizzazione stessa.
Ci sembra di non aver dimenticato nulla…
Inessenziale, a nostro avviso, porre l’attenzione all’uso di distintivi o addirittura di divise, come accade nei corpi militari, che esprime, in modo evidente, il ruolo e la posizione gerarchica dell’individuo all’interno dell’organizzazione stessa. Ci preme infatti evidenziare un paio di punti, che discendono dalla definizione stessa di istituzione. Il primo. L’ente ha come propria finalità quella di esistere, in quanto tale, prima ancora di esprimere la funzione per cui è nata. Il secondo. La sua organizzazione è sempre gerarchica o piramidale. E la cui caratteristica principale, come noto, è quella di far convergere le proprie risorse al vertice.1
Ora che abbiamo osservato la forma dell’istituzione e ne abbiamo analizzato la struttura, in parti e relazioni, dobbiamo, per converso, domandarci se è possibile individuare qualche similarità nei primi due raggruppamenti umani esaminati: le sette e le corporazioni. Indubbiamente una gerarchia nella setta c’è di sicuro. Nel rapporto tra il capo – o guru che dir si voglia – e i propri adepti. Idem nella corporazione. Seppure nominato dagli associati e probabilmente per un tempo determinato, a rotazione, un responsabile o presidente c’è per certo. Anche un minimo di struttura organizzativa, con i rispettivi ruoli, è riscontrabile in entrambi i gruppi, non foss’altro che per organizzare le comunicazioni, gli eventi e le azioni ricorrenti, che, di fatto, fanno esistere l’ente come tale nello spazio-tempo. Per esistere, infatti, un insieme formale di persone deve necessariamente dotarsi di un minimo di struttura organizzativa, con una sede e con procedure ricorrenti nel tempo, interpretando compiti specifici (ruoli), assegnati ad altrettanto specifiche persone. E, da ultimo, come non vedere l’affinità, se non addirittura l’identità, di una selezione del personale aziendale con la procedura di accettazione in una setta? Proprio come volevasi dimostrare.
Per quanto riguarda le analogie strutturali, quindi, ci pare corretto affermare che le correlazioni, pur nella differenza di scala, siano ben evidenti. Possiamo infatti trovare in tutte le entità – sette, corporazioni e istituzioni – le stesse componenti sostanziali e la stessa tipologia di relazioni costitutive.
Una notazione conclusiva a proposito della componente performativa del linguaggio. Il linguaggio permette, all’interno di una comunità di persone, l’istituzione stessa dell’ente. È, infatti, attraverso il dominio del discorso che l’istituzione viene di fatto creata, un vero e proprio fiat, un vero e proprio portarla ad esistere nella comunità linguistica di riferimento, ma è solo attraverso il consenso di tutti noi, ognuno di noi, che le istituzioni riescono a mantenere la propria esistenza. Esse, infatti, non vivono di vita propria. Sono nate per fornirci un servizio e senza di noi, senza il nostro consenso collettivo, non avrebbero alcuna ragione di esistere.
A volte varrebbe la pena ricordarcelo.
1 Per un approfondimento sul tema della forma piramidale nei confronti di quella circolare si rimanda al libro di Fabio Ghioni, Apoteosi. La forma di ogni cosa, 2016. In particolare si veda il capitolo Il Cerchio.