(…precedente)

Come è dentro, così è fuori

Il mio percorso di studio personale è durato, diciamo, non meno di trent’anni, forse qualcosa in più, considerando che, in effetti, sono partito con le mie elucubrazioni sin da adolescente. Ma allora ero nel mainstream. Nulla di particolarmente originale. Il primo vero momento di consapevolezza – la mia prima acquisizione, come la chiamo io – m’e’ accaduta quando ho iniziato a considerare seriamente il fatto che il mondo là fuori – come in prima battuta si tende a suddividere il nostro percepire, il dentro separato dal fuori, appunto – fosse una mia proiezione.
Fermi. Non arrivo a dire che il mondo sia un prodotto della mia fantasia, non non voglio arrivare a tale assurdità. Il mondo là fuori di sicuro c’è e ci si può far male davvero, no. Intendo dire che il senso delle cose è attribuito da un individuo speciale. Unico e irripetibile. Io. Me.
Già. Proprio così. Pensateci bene anche voi. Seguitemi per un attimo e lasciatevi condurre dal sottoscritto, tacitando il vostro giudice interiore. Anche solo per il tempo di questa lettura.
Dire che fornisco il senso, il significato delle cose che mi accadono, significa anche dire che la tonalità emotiva, connessa ad una certa esperienza, non può che esser data da chi esperisce l’esperienza stessa, no? Mi seguite? È facile. L’evento che vedo accadere, la discussione con Tizio o Caio, che mi vede coinvolto in prima persona, assume, per me, una serie di sfumature emotive, un insieme di sensazioni e significati che valgono solo per me… sensazioni nel corpo e significati nella mente. Ma solo ed esclusivamente dal mio personale punto di vista. E non potrebbe essere altrimenti. Quale punto di vista potrei assumere se non il mio? Anche i silenzi sono interpretabili e interpretati secondo il mio specifico e unico sentire.
«Perché lui ha risposto alla mia domanda con titubanza? Cosa voleva dire quel suo attimo di silenzio? Non era forse d’accordo con me?»
Interpretare. Dar senso a ciò che esperisco, in accordo, e il più possibile coerentemente, con la storia che continuamente mi racconto… su di me, sulle altre persone, sul mondo. Qui ci sarebbe da fare qualche importante distinguo. Ma è prematuro per ora, vi farei solo confusione.

Bene vi ho condotto con me alla prima mia realizzazione. Che ora, tenetelo ben a mente, fa parte di me. Badate bene, ci sono un sacco di persone che dicono cose di questo tipo. Non sono certo il primo, né sarò l’ultimo, ma… quello che voglio dire è che questa cosa, questo specifico fatto, questo vero e proprio atteggiamento, anzi questa visione del mondo, un certo giorno è entrata a far parte della mia vita. Si è incarnata in me. Comprendete cosa vuol dire tutto questo?
Forse no. Perché anch’io a suo tempo quando ero uno di voi, uno normale, non bisognoso di accertamenti tecnopsichiatrici – sempre secondo il vostro punto di vista, ovvio – leggevo e sentivo dire cose di questo tipo. Ma, le leggevo solo con la mente. Anzi col mio io linguistico. Che provvederò a presentarvi, quando e se sarà il momento.
La decido io questa storia! Lo racconto io, quello che mi è successo! Ne sono l’autore! Almeno di questo. Che bello essere autore di qualcosa. Sì, di questo ne sono proprio certo…
O, no?
E voi, voi siete gli autori della vostra vita? O ne siete semplicemente gli attori?

Ma non mettiamo il carro davanti ai buoi e procediamo con ordine. Dicevamo dell’attitudine esistenziale a vedere ogni evento della mia vita come prodotto, in qualche modo, dalla storia delle mie azioni precedenti, che – guarda caso – mi conduce proprio laddove mi trovo in quel momento e non altrove. Ribadisco. Non si tratta di pensieri. Ma proprio di azioni di vita, ancora in gran parte inconsapevoli, purtroppo per me, e che nel tempo retroagiscono sulla mia esistenza. Karma? Non sono troppo interessato a queste interpretazioni orientaleggianti. Non fa parte della mia cultura. Certo è che tutto sembra accadere come se si svolgesse in un’equazione matematica. Che non può che dare quell’unico risultato, contenuto e previsto nell’equazione stessa, una volta però definite le variabili al contorno. Un vero e proprio programma che viene eseguito. Il risultato è dato. Il come questo risultato si ottenga, no… Ma questo lo riprendiamo più avanti. Forse. Adesso dicevamo del mio primo e fondamentale insight. Il fuori come rappresentazione del mio dentro. Il fuori come ombra che proietto io stesso.

Ma se il mondo là fuori è una mia proiezione, allora, ne posso fare quello che voglio?
Si e no. Purtroppo. Perchè vedete molte delle mie proiezioni, come vi accennavo tra le righe, sono il prodotto anche del mio inconscio, una delle parti di cui sono fatto. E che, come dice la parola stessa, non è assolutamente sotto il mio diretto controllo. Lo dice pure la vecchia psicanalisi e associati.
Controllo? Che brutta parola. Di cosa abbiamo il controllo? Abbiamo il controllo di ciò che crediamo di controllare. Ma credere, non è essere. Esserne i controllori, implicherebbe esserne gli autori, ovvero esserne la causa, essere colui che decide, che ha il potere di prendere questa decisione. E, soprattutto, conseguentemente che ha il potere di attuarla.

Ma, come vedremo, questo non è il mio caso. Sarà il vostro, forse. Ma non il mio.

(continua…)

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Allucinazioni due