Un giorno, mentre attendeva di comparire davanti al tribunale, il comandante delle guardie entrò nella sua cella. Si mise a conversare con lui, non esitando ad affrontare le questioni più varie che si era sempre posto leggendo la Scrittura.
Alla fine chiese: “E … come bisogna interpretare che Dio, Onniscente, chieda ad Adamo: ‘Dove sei?’”
“Credete voi – rispose il Rav – che la Scrittura è eterna e che abbraccia tutti i tempi, tutte le generazioni e tutti gli individui?”
“Sì, lo credo” disse.
“Ebbene – riprese il Rabbino – in ogni tempo Dio interpella ogni uomo: ‘Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti, nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?’
Dio dice per esempio: ‘Ecco, sono già 46 anni che sei in vita. Tu, dove ti trovi?’”
All’udire il numero esattodei suoi anni, il comandante si scrollò a stento, posò la mano sulla spalla del Rav ed esclamò: “Bravo!”
ma il cuore gli tremava …
Qual è il senso di questa storia?
Il comandante cerca di smascherare una pretesa contraddizione nelle credenze ebraiche del Dio onniscente, ma, invece di spiegare il passo biblico e risolvere l’apparente contraddizione, il Rabbi se ne serve solo come punto di partenza, per rivolgere al comandante un rimprovero per la vita da lui condotta fino a quel momento, per la sua mancanza di serietà, la sua superficialità, per l’assenza di senso di responsabilità nella sua anima.
La domanda oggettiva – che, in fondo, non è una domanda autentica, ma una semplice forma di controversia – riceve una risposta personale; anzi, un ammonimento a carattere personale.
Il ritorno decisivo a se stessi è, nella vita dell’uomo, l’inizio del proprio cammino …
Liberamente tratto da: Martin Buber, Il cammino dell’uomo – Ritorno a se stessi, Edizioni Qiqajon,1990, pp.17-23