Non sono gli americani che mi danno fastidio; è l’americanismo: una malattia sociale del mondo postindustriale che deve inevitabilmente contagiare, a turno, ciascuna delle nazioni mercantili, e che si chiama ‘americana’ solo perché il vostro paese rappresenta la forma clinicamente più grave, così come si parla dell’influenza spagnola o dell’encefalite giapponese di tipo B. I sintomi sono la perdita dell’etica del lavoro, la riduzione delle risorse interiori e un continuo bisogno di stimolazioni esterne, seguito da decadimento spirituale e narcosi morale. Si può riconoscere la vittima dai suoi sforzi continui di mettersi in contatto con se stesso, di credere che la propria debolezza spirituale sia un’interessante deformazione psicologica, d’interpretare la propria fuga dalle responsabilità come la dimostrazione che lui e la sua vita sono straordinariamente aperti alle nuove esperienze. All’ultimo stadio il paziente si riduce a cercare quella che forse è la più banale delle attività umane: il divertimento.

Trevanian, Shibumi. Il ritorno delle gru. L’etica dell’assassino perfetto, Giunti/Bompiani, 2019, pp. 432, 433

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Americanismo