A me sembra evidente. Lapalissiano. Niente sarà come prima. Proprio nulla. E mi sembra che, in fondo, solo pochi se ne vogliano rendere davvero conto. Per paura, certo, anche se mettere la testa sotto la sabbia, di sicuro, non ci aiuta affatto, anzi.
Stiamo vivendo un evento universale. Non si tratta della terza guerra mondiale, ma qualcosa di più “naturale” che, però, ha la caratteristica dell’universalità. Nessuno, proprio nessuno su questo pianeta può chiamarsi fuori. Questo è un fatto. Ma poi, dopo, tra qualche tempo, sapremo formulare modi di vivere completamente diversi da quelli che ci hanno portato sin qui? Cioè, oltre ad analizzarne le cause, quelle più remote, dentro e fuori di noi, che ci hanno condotto a questa stuazione, ci rendiamo conto che quello che sta avvenendo è il crollo dell’Impero Globale? Proprio qui, sotto i nostri occhi, anche se travestito da una calma e isolata quotidianità. Almeno, per noi, quelli più fortunati, che hanno l’agio di riflettere, invece di combattere in prima linea negli ospedali e nei luoghi attrezzati per l’occasione, per gestire l’emergenza.
Qui non si tratta di rimodulare o riformare un sistema sanitario, o economico-finanziario, o produttivo-lavorativo. Ma di tutti questi sistemi, in un colpo solo. Tutti insieme. Non si tratta di recuperare, ritornare, riprendere, ri-fare qualcosa, perché quel qualcosa, non ci sarà più.
Si tratta, quindi, di pensare, fin da subito, un nuovo modo di stare al mondo. Se la globalizzazione è l’apice di ciò che questa civiltà ha prodotto, e noi con lei, una civiltà che si definisce e si costruisce lontano nel tempo, ebbene ciò che è in gioco è l’essenza di tutto ciò a cui siamo stati abituati, prima del virus. Ciò che sta crollando, o, meglio, che inizierà a crollare tra breve, sotto un gigantesco effetto domino, sarà tutto ciò che l’uomo occidentale ha prodotto e diffuso nel globo terracqueo, che chiamiamo globalizzazione. Tutto ciò che credevamo di essere come individui, visto che, come tali, rispecchiamo la realtà esterna, andrà certamente in pezzi.
E prima ce ne renderemo conto, prima immagineremo, ideeremo, penseremo, e quindi inizieremo ad agire – nei modi più strani e incerti, forse, per tentativi ed errori – per tracciare modelli completamente nuovi di esistenza e coesistenza e meglio sarà per noi. Nuovi modelli di esistenza sociali, nuove identità personali. Modi di relazionarci con l’altro e con la natura nella quale siamo immersi, interconnessi, interdipendenti, virus compresi, che siano modi autentici, veri e quindi profondamente alternativi all’attuale atteggiamento competitivo del mors tua, vita mea.
La domanda che dovremmo farci, ognuno di noi, – visto che non siamo ancora sopraffatti dalle necessità di sopravvivere e siamo in grado di riflettere – è: «che fare, ora, insieme agli altri?». E con gli altri intendo quelli con cui posso entrare in contatto diretto.
Cercare cioè di comprendere che cosa sarà veramente importante, tra qualche tempo, per noi, tutti. Insieme. Scoprire, finalmente, l’interdipendenza costitutiva della nostra vita, tutta.
Ecco. Penso che questo sia il livello adeguato delle domande che ci dovremmo porre, il prima possibile; domande alle quali, volenti o nolenti, saremo comunque chiamati a rispondere. Tutti insieme. Non bisogna essere delle Cassandre per capirlo. Né ammutolire nel catastrofismo di chi non vede altre alternative che l’impossibile, quanto insensato, ripristino di ciò che è ormai non è più. Iniziando a costruire, invece, un cammino corale, che abbia un senso, finalmente, davvero umano, pure nelle immense difficoltà di una trasformazione epocale, che ci attende.
Ma con fiducia nel cammino della vita.
Caminante, son tus huellas
el camino y nada más;
Caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.
Al andar se hace el camino,
y al volver la vista atrás
se ve la senda que nunca
se ha de volver a pisar.
Caminante no hay camino
sino estelas en la mar.
Video (50′) Vivi si diventa, Simone Perotti, Byoblu, 21/11/2018