Vorremmo dirvi che cosa c’è rimasto a due anni di distanza da questo primo incontro. E quali cambiamenti hanno prodotto lo studio di questo testo e le successive frequentazioni. Già, perché proprio di studio si tratta, avendolo letto, riletto e analizzato approfonditamente.
I primi elementi che ci hanno colpito sono quelli relativi al taglio antropologico, alla scala globale, e all’utilizzo di una logica tanto ferrea nell’analisi dei fatti, quanto corrosiva nelle sue conclusioni. Per averne un sentore ne riportiamo l’incipit:
Viviamo in un periodo storico in cui un ristretto club di potenti persegue, con l’ingegnosità del cinismo, il progetto di sostituire la democrazia con il mercato e nel contempo di egemonizzare il mercato stesso sotto il potere delle oligarchie finanziarie. Ciò che tutti chiamano “crisi” è in realtà l’effetto dell’attuazione di questo progetto del quale dev’essere ormai riconosciuta la natura criminale.
Un avvio scoppiettante, di quelli che vogliono distruggere tutto l’esistente, potreste pensare di primo acchito. E invece no, proprio no. La pacatezza dell’approccio che si respira lungo tutto il percorso è sostenuta da una profonda visione gandhiana di nonviolenza e inclusività, come si può leggere in quest’altro passo (pag.14)
Quelli che vogliono cambiare il mondo con le armi non si avvedono del fatto che sono le armi a cambiare loro per mantenere le stesse regole del mondo che doveva essere cambiato.
La critica al sistema mainstream, l’ambiente iper-liberista nel quale viviamo, e al quale la globalizzazione ci ha ormai passivamente abituato, è sostenuta da un’analisi storica, filosofica e antropologica, che copre tutte le principali civiltà del mondo. Interessante anche l’elencazione di sistemi economici alternativi, che queste sapienze, nei diversi continenti, hanno saputo produrre nel tempo; sistemi che purtroppo sono stati del tutto marginalizzati da quello vigente.
Il capitalismo è così tenace perché non si tratta solo di un’economia, ma di una vera e propria cultura, una mentalità complessiva che ci fornisce le categorie per interpretare la realtà, e che è diventata anche per noi una vera e propria forma di vita. Correre. Competere. Essere flessibili. E quello che riusciamo a guadagnare, in termini di denaro o potere, è divenuto il senso stesso della vita.
E chiaro che se concordiamo, anche in parte, con quest’analisi, sorge spontanea l’esigenza di agire, di far qualcosa per cambiare questo stato di cose. Ma per avviare un cambiamento strutturale, un vero e proprio cambiamento di forma, dobbiamo capir bene in che cosa consista il sistema nel quale siamo tutti noi immersi.
Nel suo complesso – ci dice Mancini – il capitalismo può esser descritto come un albero (intervista, video 6′ di Italia che Cambia). La chioma rappresenta il sistema economico, nelle sue diverse componenti: le industrie, il denaro, le banche i mercati e così via. Il tronco ne simboleggia la cultura che sostiene il sistema operante, l’economia. Mentre le radici, invisibili, ma essenziali, ne rappresentano il mito, inteso non certo come superstizione, ma come orientamento al senso della vita.
Il nostro mito, quello che fonda la cultura capitalista, che proviene in parte dalla filosofia greca e in parte dalla cultura cristiana, è composto – per l’autore – da quattro elementi: 1 – l’uomo è egoista e calcolatore per natura; 2 – la natura è avara; 3 – l’uomo è mortale; la morte incombe e vince sulla vita; 4 – gli dei o non esistono e se esistono non si curano di noi; sono distanti dalle vicende umane.
Che dire, un bel quadretto, che, a ben vedere, rispecchia purtroppo gran parte del nostro agire quotidiano. Bisogna competere, lottare per sopravvivere, vincere tutti contro tutto, per dar corpo al ruolo di homo oeconomicus in questa messa in scena feroce e depressiva.
Ecco quindi che per operare un cambiamento che sia davvero efficace, dobbiamo realizzare tre svolte: una a livello del mito, una a livello della cultura e della politica, e una a livello dell’economia. Ponendo una particolare attenzione alle radici, perché è proprio qui che il sistema viene generato e nutrito nel suo complesso. A questo livello occorre operare una vera e propria conversione, quella che l’autore definisce svolta spirituale, e che noi qui preferiamo chiamare svolta personale.
Questo – a nostro parere – è il messaggio centrale del libro: la svolta personale. Uno specifico richiamo a compiere il nostro dovere.
L’economia attuale, l’ambiente in cui siamo, ci riguarda. Da vicino. Personalmente. Ineludibilmente. Dobbiamo riconoscere che tutti noi – nessuno escluso – sta attivamente o passivamente supportando questo modo di essere. Un modo sbagliato di vivere che produce un mondo non adatto all’umano e alla natura. Per questo dobbiamo fare i conti con una profonda revisione del nostro essere al mondo. Ripensare in modo sostanziale prima il rapporto con noi stessi, poi il rapporto con l’altro e infine quello con la comunità vivente, natura compresa, che tutti noi accoglie e sostiene.
Dobbiamo agire certo. Ma solo dopo esserci tolti di dosso quegli occhiali deformanti, che ci fanno apparire l’uomo per quello che non è; che ci fa percepire il capitalismo turbo-liberista come unico, insostituibile, persino naturale; quando invece è evidente come anch’esso sia un prodotto della cultura e della collettività umana. Questa è la conversione, la svolta personale necessaria. Una cambiamento di paradigma da cui partire per rifondare un nuovo mito e una nuova cultura1. Non solo per render possibile la vita, ma al fine di nutrila e farla crescere in tutte le sue manifestazioni2. Un percorso di sicuro molto lungo e la cui strada dev’essere addirittura immaginata prima ancora di esser costruita e intrapresa.
Dobbiamo stare attenti, quindi. Non possiamo pretendere di cambiare il mondo, là fuori, domattina, con la rivoluzione, con la violenza; fatto che si ritorcerebbe inevitabilmente contro di noi. Dobbiamo invece iniziare ad operare quei cambiamenti, anche piccoli, anche infinitesimali, dove e come ci è possibile fare.
Proprio qui. Dentro di noi. E nello spazio in cui siamo e nel quale agiamo. Nella nostra ovvia quanto fondamentale quotidianità. Nel nostro universo locale, direbbero i WingMakers.
Facendo tutto il possibile per puntare con decisione alla realizzazione della dignità dell’essere umano. E partendo naturalmente da noi stessi; perché solo riconoscendoci questo diritto-dovere, solo crescendo nella direzione di essere dignità noi stessi, sapremo, procedendo lungo questo cammino, riconoscere la dignità nel nostro interlocutore.
Un processo di crescita in dignità, quindi. Che richiede un profondo rispetto di sé, dell’altro e della natura. Declinato dal Mancini attraverso la sua ricognizione antropologica “quale autocoscienza interculturale dell’umanità3” secondo almeno cinque dimensioni dell’essere umano: l’unicità, la relazionalità, l’apertura, l’integrità, e la responsabilità.
Qui però ci fermiamo con i nostri commenti. Intendiamo lasciare al lettore – se interessato – il piacere delle necessarie spiegazioni e dei dovuti approfondimenti. Elementi questi tutti talmente importanti, da costituire le fondamenta del nostro attuale sistema di riferimento personale.
Trasformare l’economia è una lettura generativa per l’agire personale e sociale, che pone il focus su noi stessi, quali esseri in evoluzione; verso la realizzazione di una nostra completa umanizzazione. Ne abbiamo tutte le potenzialità. Se davvero lo vogliamo.
Una visione globale, di fiducia nell’uomo e nel suo possibile futuro, che si raccorda perfettamente al motto I-am-we-are dei WingMakers, e al loro paradigma incentrato nella pratica delle sei virtù del cuore (Vivere dal cuore, 2007).
Ma questa è proprio un’altra storia…
1 Siamo stati molto favorevolmente colpiti dai commenti sul capitalismo espressi di recente dallo stesso Sergio Marchionne.
2 Ci pare opportuno sottolineare l’idea dell’incremento di vita, di cui al capitolo 5 del noto libro: The Science of Getting Rich – 5 – Increasing Life, Wallace D. Wattles, 1910
3 Trasformare l’economia, Fonti culturali, modelli alternativi, prospettive politiche, pag. 127